Giuseppe Guerrini

Intervistato dalla nipote Ginevra Caroni.

Ciao nonno, presentati un po’…quando e dove sei nato?

Ma te lo sai chi so’ eh, mi chiamo Giuseppe Guerrini ma tutti mi chiamano Beppe e sono nato a Siena, l’1.10.1938 e stavo a Ravacciano coi’ nonni e co’ gli zii e poco col babbo. In famiglia s’era almeno 5 verai, s’era babbo e mamma… no mamma niente, la mamma esclusa, c’era la nonna Sabatina… ah già c’era anche nonno Beppe, c’ero io, lo zio Gastone e zia Libera. Io giocavo sempre lì fori co’ i ragazzi di Ravacciano e loro lavoravano a coso… o come si chiama Dio bono... Pensa... la zia Libera aveva la cartoleria in Via Roma insieme a Caterina e vendeva i quaderni e le penne e lo zio Gastone lavorava all’officina co’ altri 3 soci.

Che scuole hai fatto?

Io ho fatto poca scuola, dalla prima alla quinta, perché verai poi ho smesso e quando c’andavo e stavo più fori che in classe (ride). Le maestre mi dicevano sempre: “Guerrini, vai fuori” perché rompevo i coglioni a tutti, e io uscivo fuori, ma mi mettevo dietro la porta dell’ingresso dell’aula e ascoltavo tutto quello che dicevano; quando lei aveva fatto tutto mi richiamava e mi ridomandava le cose e io gliele dicevo “tutututututun”… hai capito? Gli ridicevo tutto quello che aveva detto in classe perché ero furbo (ride) e poi però mi tiravano un monte di bacchettate nelle mani.

E fuori co’ i ragazzi si faceva i giochi che si poteva fa’ a quell’epoca lì, e io avevo costruito con una seggetta uno scudo, c’avevo messo una cinghia dietro e poi l’avevo tutto dipinto e poi ci infilavo la mano dentro e ci facevo lo scudo… quando se ne accorsero a casa ne buscai quante mi pare, ne buscai (ride) verai… e quante n’ho buscate io credo ‘un l’abbia mai buscate nessuno in vita.

Come hai vissuto il periodo delle seconda guerra mondiale?

Io mi ricordo le bombe e gli allarmi, e era stata cosata la cantina sotto casa a Ravacciano, era stata adibita a rifugio e c’era stato messo dei pali con delle tavole sopra, capito? No no era stata fatta per bene eh… e ci s’entrava tutti, tutto il palazzo. E quando si sentiva suona’ l’allarme s’andava giù, e poi quando si risentiva suona’ si tornava su. Ma si mangiava poco verai lì sotto ci si stava poco per fortuna, in casa mia invece si mangiava benino, no come ora eh (ride) ora si mangia un monte e anche parecchio bene.

Che lavori hai fatto nella tua vita?

Io ho fatto… prima del pompiere lavoravo all’officina co’ lo zio e montavo quel che c’era da monta’, le finestre, le porte, ogni cosa. Poi si montava le cose del Monte dei Paschi le… pensa... i locali ecco, i locali del Monte dei Paschi in giro per l’Italia insieme allo zio Gastone e altri due.

Dio bono lo zio mi ha portato in giro un monte, so’ stato a Genova e a quell’epoca lì venne montato il primo specchio pe’ vede’ le macchine che venivano in quell’altro senso… e lo zio e mi disse “vedi ora lì arriva ‘na macchina” (ride) e poi tutupun (ride di nuovo) uno stianto e addosso, ci venne addosso la macchina sai.

Poi ho fatto il pompiere e so’ stato prima a Poggibonsi di sede e poi a Siena, ma so’ andato in giro pe’ l’Italia eh. Quando ero più giovane so’ stato in Sardegna per gli incendi, ci so’ stato un mese intero verai per gli incendi, e era tipo il ’69 ma ora ‘un me lo ricordo di preciso nini, e poi so’ stato a Napoli pe’ il colera e tornai a casa in treno, ma mi volevano mette in quarantena ma io lo sai che gli dissi? “eh so venuto su in treno, se lo volevo attacca’ l’ho bell’e attaccato a tutti quelli che erano in treno con me i’ colera” che ne dici te? Infatti io ‘un ci stetti in quarantena… bollirono tanto eh però. A Roma invece c’ho fatto il militare e il dopo, ma pochino. Ah e quando venne il terremoto in Irpinia si stava di già qui al Petriccio con la tu’ nonna, la tu’ mamma e il tu’ zio, e quando ci fu il terremoto e lo dissero al telegiornale io glelo dissi alla tu’ nonna Lori: “Loriana, andiamo a preparare la borsa vai, c’ho da partì” ma la tu nonna dura come era mi disse “cheddì diamine, ora mica ti chiameranno a te eh” e invece quella notte alle 3 partii. Verai lo sapevo che toccava a me, e lì ci stetti due o tre settimane ma è passato un monte di tempo.

E io e la nonna quando io partivo ci si sentiva poco, pochissimo, verai ‘un c’erano mica i cellulari d’oggi come quello che c’hai te, e allora ci si sentiva col telefono fisso… ogni tanto quando potevo la chiamavo oppure la chiamavano i pompieri capi e gli dicevano che era tutto a posto e che si stava bene. Io non chiamavo quasi mai, ma ora ‘un me lo ricordo bene, ci vorrebbe la tu’ nonna, lei queste cose le sapeva tutte eh. Ma verai chiamavo poco perché pe’ i terremoti era partito tutto verai, i ponti, ogni cosa, i ponti telefonici dico, anche quelli normali però… sicché via tramite comandi che si chiamavano con le… pensa ricetra... ricetratt…ricetrasmittenti ecco così, avvertivano il comando di Siena e poi il comando di Siena telefonava a casa e gli diceva che era tutto apposto perché mica c’era tempo di chiamassi a quell’epoca. Pe’ il colera peggio, non chiamarono mai perché c’era un casino e poi era prima del terremoto. Ah ma lo sai che? Questo forse ‘un te l’ho mai raccontato (ride)  in Sardegna nemmeno mi volevano mandare via figurati, perché uno che ci s’era fatto amicizia, ci si stette un mese verai, mi disse “no te non te ne vai ora, perché io tra du’ giorni mi sposo e ti voglio al matrimonio” ma io cheddì gli dissi “eh no piccinino te mi vorrai anche vole’ al matrimonio ma io se ‘un vo a lavoro mi mettono in galera, sicché fai come ti pare te” ma se l’ebbe a male eh, se l’ebbe a male davvero. Ma poi gli dissi “’un è che comando io eh, io anche se comandavo pochino ma dovevo lavora’.

Gnamo che ti devo raccontà altro? Perché io c’ho da fa’ le parole crociate ora cittina… aiutami vai che te sei giovane, mica rimbambita come me.