Lulzim Lika

Intervistato dalla figlia Klejsia Lika.

Nato nel 1972.

Qual è il tuo primo ricordo?

Quando andavo alle mucche, vicino dove stavo io: Shullaz, Laç (città dell’Albania del nord), io so’ cresciuto mangiando il “pane di mais” che non ci si aveva altro, non ci si aveva il grano per comprare pane. I soldi non c’erano. Io so cresciuto in povertà, ho iniziato a lavora’ a 13 anni.
Sono cresciuto in una casa, “casa” per modo di dire, era vecchia, si dormiva con i materassi riempiti di paglia.

Rapporto con i genitori?

Avevo dei rapporti buoni con i genitori, quello che avevano ci davano tutto, ma i soldi che avevano non bastavano, non avevo soldi nemmeno per i vestiti. Io mi ricordo che quando la mia classe doveva fare la gita a 15 chilometri lontano, non ci sono andato perché non avevo soldi per comprare il biglietto dell’autobus che costava 15 mila lekë (ride) che oggi sono due euro, io piangevo perché verai non avevo soldi e volevo andare insieme a loro, ma alla fine non ci sono andato perché non ci si aveva i soldi e sono rimasto a casa.
Però, devo ammettere che io andavo molto più d’accordo con il mio nonno, che con i miei genitori, con lui andavo a fare tutto, a raccogliere la legna, a prendere “manaferra” (le more) per fare “raki” (grappa albanese) perché a lui piaceva tanto. Io quando andavo a raccatta’ “manaferra” avevo paura dei serpenti.

Avevi paura dei tuoi genitori?

No. Anzi, un po’ si, di baba (babbo)... perché una volta mi ricordo che mi ha picchiato, perché avevo iniziato a fumare, ma per pochi giorni di nascosto dal mio babbo, ma mi ha scoperto e me l’ha dati per bene, gli schiaffi, e lo ringrazio ancora oggi sennò io fumavo a questa età fumavo. È grazie a lui che non fumo oggi. Mos na ket rraf (se non mi avesse picchiato) fumavo. E anche oggi sento l’odore della prima sigaretta che ho accesso. Me l’ha date per bene.

Invece il rapporto con i tuoi fratelli, com’era?

Era buono, era un bel rapporto, non si litigava.
Si andava tutti insieme a gioca’ a pallone, tutte le sere si andava a gioca’, me kam zbath (a piedi nudi) perché non avevamo le scarpe.
Io comandavo, i miei fratelli anche se non sono il più grande, mi rispettavano perché ero l’unico che lavorava fin da piccolo e riuscivo a portare qualche soldo a casa.

Che scuola hai fatto? e quanti anni?

Ho fatto solo le medie, perché dopo che ho finito le medie ho iniziato subito a lavorare. A scuola me la cavavo in qualche modo, ma non mi piaceva studiare, come tu fratello (ride). Mi ricordo, che in classe msus (insegnante) mi ha dato un schiaffo nel naso e mi è uscito tanto sangue, poi però si è sentito in colpa, ha iniziato a pulirmi perché aveva paura che io lo dicessi in casa, avevo paura che andavo a racconta’ al mi’ babbo quello che aveva fatto e da allora mi stava dietro e mi aiutava. Di scuola non l’ho fatta molta, l’ho finita a 14 anni e so’ entrato subito a lavorare in agricoltura.

Cosa facevi in agricoltura?

Si lavorava, si andava lì per i campi, si zappava il mais, la terra, si aprivano i canali per far uscire l’acqua. Mi davano 2 mila lekë, che ad oggi sono due euro al mese, e sei fai anche il conto con l’euro non sono nemmeno 2 euro perché erano molto di meno, ma il periodo era quello e portavo a casa ciò che mi davano.

Dopo questo lavoro che hai fatto?

Ho fatto il militare per 18 mesi a Tirana. Aspettavo tutti i personaggi che venivano dall’estero, tipo i deputati, si aspettavano all’aeroporto, chi veniva dall’estero noi si aspettava per fare rispetto alzando la mano, per trasmettere l’onore per quella persona.
Quando finii di fare il militare dopo 18 mesi, so’ tornato a casa, poi mi so’ messo lì, non sapevo che fare e allora mi sono messo a vendere i pacchetti di sigarette, cioccolata e biskota (biscotti) e poi sono andato in Grecia, lì bello.

Cosa hai fatto in Grecia?

Ho lavorato, ho fatto tutti i lavori. Una volta in una fabbrica, poi l’operaio, dopo di lì la polizia ci ha mandato via perché non ci si aveva i documenti e poi sono venuto qui in Italia nel 1995.

Come sei arrivato in Italia?

Sono arrivato in Italia con il gommone. Abbiamo preso il gommone a Valona, abbiamo pagato 600 mila lekë a persona. Il viaggio è stato pauroso, molto, è durato un’ora e quaranta minuti e ci siamo sbarcati qui a Lecce. Lì ci hanno aspettato gli italiani che erano legati con gli scafisti, quelli albanesi erano in contatto con quelli italiani. La mattina ci hanno preso e ci hanno mandato alla stazione del treno. Il viaggio era con il mio cugino, ci si era in due e tutte e due ci si aveva un biglietto in due, dopo un po’ nel treno ci hanno scoperti e ci volevano far scendere dal treno, però uno lì per caso, un kosovaro, ci ha sentiti parlare e ci ha pagato il biglietto e siamo rimasti nel treno. Ogni volta che lo ricordo lo ringrazio sempre, perché non ci conosceva e ha fatto proprio un bel gesto. Poi, da Lecce, siamo venuti a Chiusi, ci siamo fermati lì, poi è venuto il mi’ cugino che ci ha presi alla stazione e ci ha portato qui a Siena, a Ruffolo, in una casa vecchia e per un mese ci ha ospitati mio cugino, poi dopo qualche mese siamo andati a Montalcino sempre in una casa vecchia e piccola. Si mangiava un piatto di pasta in ventiquattro ore. Dopo un po’ cercai lavoro e dopo due settimane, trovai lavoro.

Che lavoro facevi appena arrivato in Italia?

Avevo trovato lavoro in una fattoria con i cavalli a pulì i box dei cavalli, dove sono stato un anno e mezzo. Le prime settimane, mi pagava 150 mila lire a settimana mi dava, però questi soldi me li lanciava perché non ero italiano. Dopo di lì trovai un altro lavoro, con le sonde che si mettevano in micropali (macchinario da lavoro) e dopo due settimane mi sono fatto male sul lavoro, dove ho rischiato di morire. Ho rischiato di morire, perché mentre lavoravo scappò una chiave dalla macchina e mi chiappò. Da allora so’ stato male, ero a lavora’ in una caserma di carabinieri, poi lì era proprio brutto perché io pensavo di aver perso l’occhio, chiudevo l’occhio dove non mi aveva colpito la chiave perché era pieno di sangue e non vedevo niente e vedevo solo con quell’altro. Chiamarono l’ambulanza, ma non mi potevano portare via perché ero sopra una scala dove o dovevano salire loro o io scendere, ma loro non potevano salire perché non avevano le scale e allora sono venuti i pompieri mi hanno tirato giù con la gru, perché non ero in grado di scende.
Mi hanno portato subito all’ospedale, mi hanno operato e mi sono svegliato all’una di notte e quando mi sono svegliato il mio cugino mi ha detto che l’occhio non l’avevo perso, ma io non ci credevo, perché ero messo proprio male e continuavo a dire che l’avevo perso e che stava scherzando con me.
Ho fatto tre interventi, due a Siena e poi uno a Pisa. Dopo un anno quella ditta lì mi ha licenziato e da allora ho lavorato in una ditta come operaio di sabbiatura e dopo sei anni ho aperto la mia ditta di sabbiatura privata e questo lavoro lo faccio con passione, ho sempre lavorato, non mi è mai mancato il lavoro.

Quando eri in Italia avevi una compagna in Albania?

No, non avevo nessuno. Ho conosciuto tua mamma nel 2002. Ci siamo conosciuti in Albania e quando me l’hanno presentata, mi è subito piaciuta e le “regole” in Albania dicevano che devi trovare uno, un parente, un amico, che conosce qualcuno della sua famiglia e chiede la mano. Io aspettavo un sì e un no, ma la risposta non mi arrivava e io allora mi incazzai. Allora, il mi’ babbo mi scoprì che io mi ero rotto di aspettare una sua risposta perché io dovevo tornare in Italia, ma la mamma voleva del tempo per pensare (mamma ride) e baba (babbo) allora si è messo nel mezzo dicendomi che dovevo aspettare, per una sua risposta e attendere. Dopo un mese di attesa tua mamma è riuscita a dirmi: sì! (mamma e babbo si guardano e ridono)

La mamma è stata la tua prima ragazza?

Sì è stata la prima! Dopo un mese di attesa perché mamma me la voleva far sudare, dopo un anno abbiamo fatto il matrimonio. Il matrimonio lo abbiamo fatto giù in Albania. Dopo due settimane, subito!, siamo venuti insieme in Italia.

Il rapporto con i figli?

Dopo un anno e mezzo sei nata te è stato una gioia immensa, ma proprio non vedevo l’ora di vederti. Quando venivo a vederti non mi lasciavano stare lì, dovevo andare a casa a dormire, ogni mattina prestissimo mi svegliavo presto per venirti a vedere, dopo averti visto andavo a lavorare e tornavo in ospedale da mamma e te per vederti.

(Parla con mamma): Ma quanto pioveva quando è nata Klejis? E quanto piangeva? (si mettono a ridere entrambi). Dopo di te di te è nato Klevi, Klevushi.

(Si intromette mamma, dicendo): Nabbo sai che ha fatto?

Che ha fatto?

(Mamma): Lui voleva un maschietto.. Quando siamo andati a fare la prima ecografia, mi avevano detto che doveva nascere una bambina e lui si è incazzato (ridono), al settimo mese ho fatto un’altra ecografia e proprio lì la dottoressa chiese: ma lo sapevo che sesso è? E babbo a muso: si è una femmina, ma la dottoressa gli disse: no no è un maschietto e babbo di nuovo: no no è una bambina e allora da lì la dottoressa fece un’altra ecografia di sicurezza, fece avvicinare babbo dicendo, vieni vieni qui glielo fece vedere che era un maschietto e da lì babbo fece i salti di gioia, tanto che tirò fuori dai pantaloni cinquanta euro perché voleva proprio un maschietto.

(Rientra babbo): Sono stato proprio fortunato ad avere una famiglia così...

(Si intromette di nuovo mamma): Dai dai dillo così lo sento anche io! (ridono)

(Babbo): No no non ce la faccio (ride con gli occhi lucidi), sono molto contento di avere questa famiglia, di avere i miei figlioli e mia moglie così come sono, non ho mai desiderato di meglio.